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Fratelli e sorelle destati, il canto degli italiani

Anniversari

Ci soffermiamo su una data di metà marzo – esattamente il 17 – che per gli Italiani è la “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera”. È la Legge 222/2012 ad averla istituita, abbinandola al giorno in cui venne proclamata nel 1861 l’Unità d’Italia.

Dei quattro elementi a cui viene dedicata tale Giornata, quello dell’Inno merita qualche riflessione in più: sia per gli aspetti legati al momenti della sua composizione letteraria e musicale, sia per il messaggio che continua a rappresentare uno degli elementi identitari del nostro essere Italiani. Il rischio dell’enfasi retorica è sempre dietro l’angolo, così come l’obbligo di consapevolezza del fruttuoso cammino che da allora ha condotto gli stessi Cattolici (italiani) ad accogliere le Istituzioni Statali e a considerare la partecipazione alla vita civile e democratica e il coinvolgimento politicamente attivo come un valore (“La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio” – già Pio XI, cfr. L’Osservatore Romano, 23.12.1927, n. 296, 3, coll. 1-4).

Ma torniamo all’Inno il cui titolo è “Il Canto degli Italiani”… Venne scritto nell’autunno del 1847 dal giovane patriota genovese Goffredo Mameli (1827-1849) e musicato poco dopo, a Torino, da Michele Novaro (1818-1885), in un momento storico di grande spirito risorgimentale. A questo riguardo, la pagina sull’Inno nel sito del Quirinale (www.quirinale.it/page/inno) precisa che “l’immediatezza dei versi e l’impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell’unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l’Inno di Mameli divenisse l’Inno nazionale della Repubblica Italiana.

Si racconta che Novaro, ricevuto il foglietto con i versi del Mameli in casa di un amico (Valerio) e di fronte ad altri patrioti affermò “Io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario […]. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo […]. Mi posi al cembalo e strimpellavo […] mettendo giù frasi melodiche, l’un sull’altra […]. Presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato: lo scrissi su d’un foglio di carta […]: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l’originale dell’Inno”.

Alla luce di questa passione compositiva e partecipativa un ultimo aspetto colpisce e si propone come spunto di risonanza e riflessione. Dei tanti versi che compongono l’intero Inno, dopo l’enunciazione di “Fratelli d’Italia” (ma il concetto vale certamente anche per le “Sorelle” italiane) si canta che “l’Italia s’è desta”. Allora come oggi dobbiamo sentire la forza di questo “esserci destati” e la volontà, come comunità (locale e nazionale), di unire le nostre forze per combattere le sfide del momento presente (Covid compreso) rimanendo insieme e proiettando il nostro sguardo verso un comune obiettivo: quello di una liberazione quotidiana dalle miserie e “schiavitù” (politiche, sociali, culturali) che ancora ci circondano e quello di un’azione condivisa per un futuro solidale ed ecologico, proprio come in questi giorni ha indicato all’umanità papa Francesco.

Guido Astori

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